Lunedì, 07 Novembre 2022 12:37

Diritto al risarcimento del danno da riduzione o perdita della capacità lavorativa

Scritto da Avv. Giulio Costanzo
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La Suprema Corte di Cassazione, con l’Ordinanza n. 16599 del 23/05/2022, ha statuito che in tema di perdità di capacità di lavoro dell'assicurato, ove la capacità dell'assicurato di svolgere il lavoro di fatto esplicato si sia ridotta, ma senza raggiungere la soglia, normativamente rilevante, della riduzione a meno di un terzo, il giudice non ha l'obbligo - prima di escludere il diritto alle richieste prestazioni previdenziali - di accertare anche l'incapacità dell'assicurato di svolgere altre attività lavorative, compatibili con le sue capacità ed attitudini.

La capacità lavorativa consiste nella potenziale attitudine all’attività lavorativa da parte di un soggetto.

La relativa riduzione o perdita è definita, invece, dalla giurisprudenza come “la sopravvenuta inidoneità del soggetto danneggiato allo svolgimento delle attività lavorative che, in base alle condizioni fisiche, alla preparazione professionale e culturale, sarebbe stato in grado di svolgere”(Cass. Civ., 9 marzo 2001, n. 3519).

La perdita della capacità lavorativa integra un danno patrimoniale consistente nella difficoltà di continuare a svolgere concretamente il proprio lavoro e da cui scaturisce il danno futuro da lucro cessante.

Dubbi sorgono quando, invece, l’infortunato non detenga un’occupazione.

Molteplici, infatti, sono i giudizi e le correlate diatribe sorte in tema di risarcimento della riduzione o perdita della capacità lavorativa qualora la parte lesa fosse disoccupato.

La Suprema Corte di Cassazione, di recente, è intervenuta sul relativo tema e con l’Ordinanza n. 16599 del 23/05/2022, ha enunciato il seguente principio di diritto: La capacità di lavoro dell'assicurato, alla quale fa riferimento l'art. 1 della l. n. 222 del 1984 ai fini della valutazione della sussistenza del requisito sanitario richiesto per l'attribuzione della prestazione previdenziale dell'assegno di invalidità, consiste nella idoneità a svolgere, in primo luogo, il lavoro di fatto esplicato (capacità specifica), ed inoltre tutti i lavori che l'assicurato per condizioni fisiche, preparazione culturale ed esperienze professionali sia in grado di svolgere (capacità generica), i quali vengono in considerazione soltanto in caso di accertata inidoneità dell'assicurato allo svolgimento del lavoro proprio. Ne consegue che, ove la capacità dell'assicurato di svolgere il lavoro di fatto esplicato si sia ridotta, ma senza raggiungere la soglia, normativamente rilevante, della riduzione a meno di un terzo, il giudice non ha l'obbligo - prima di escludere il diritto alle richieste prestazioni previdenziali - di accertare anche l'incapacità dell'assicurato di svolgere altre attività lavorative, compatibili con le sue capacità ed attitudini.

Alla luce di tale pronunzia emerge, ergo, che ove la capacità dell'assicurato di svolgere il lavoro di fatto esplicato si sia ridotta, ma senza raggiungere la soglia, normativamente rilevante, della riduzione a meno di un terzo, il giudice non ha l'obbligo - prima di escludere il diritto alle richieste prestazioni previdenziali - di accertare anche l'incapacità dell'assicurato di svolgere altre attività lavorative, compatibili con le sue capacità ed attitudini.

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