Dubbi sorgono quando, invece, l’infortunato non detenga un’occupazione.
Molteplici, infatti, sono i giudizi e le correlate diatribe sorte in tema di risarcimento della riduzione o perdita della capacità lavorativa qualora la parte lesa fosse disoccupato.
La Suprema Corte di Cassazione, di recente, è intervenuta sul relativo tema e con l’Ordinanza n. 16599 del 23/05/2022, ha enunciato il seguente principio di diritto: “La capacità di lavoro dell'assicurato, alla quale fa riferimento l'art. 1 della l. n. 222 del 1984 ai fini della valutazione della sussistenza del requisito sanitario richiesto per l'attribuzione della prestazione previdenziale dell'assegno di invalidità, consiste nella idoneità a svolgere, in primo luogo, il lavoro di fatto esplicato (capacità specifica), ed inoltre tutti i lavori che l'assicurato per condizioni fisiche, preparazione culturale ed esperienze professionali sia in grado di svolgere (capacità generica), i quali vengono in considerazione soltanto in caso di accertata inidoneità dell'assicurato allo svolgimento del lavoro proprio. Ne consegue che, ove la capacità dell'assicurato di svolgere il lavoro di fatto esplicato si sia ridotta, ma senza raggiungere la soglia, normativamente rilevante, della riduzione a meno di un terzo, il giudice non ha l'obbligo - prima di escludere il diritto alle richieste prestazioni previdenziali - di accertare anche l'incapacità dell'assicurato di svolgere altre attività lavorative, compatibili con le sue capacità ed attitudini”.
Alla luce di tale pronunzia emerge, ergo, che ove la capacità dell'assicurato di svolgere il lavoro di fatto esplicato si sia ridotta, ma senza raggiungere la soglia, normativamente rilevante, della riduzione a meno di un terzo, il giudice non ha l'obbligo - prima di escludere il diritto alle richieste prestazioni previdenziali - di accertare anche l'incapacità dell'assicurato di svolgere altre attività lavorative, compatibili con le sue capacità ed attitudini.