L’Art. 21 Cost. così sancisce:
“Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.
La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure.
Si può procedere a sequestro soltanto per atto motivato dell'autorità giudiziaria [cfr. art. 111 c.1] nel caso di delitti, per i quali la legge sulla stampa espressamente lo autorizzi, o nel caso di violazione delle norme che la legge stessa prescriva per l'indicazione dei responsabili.
In tali casi, quando vi sia assoluta urgenza e non sia possibile il tempestivo intervento dell'autorità giudiziaria, il sequestro della stampa periodica può essere eseguito da ufficiali di polizia giudiziaria, che devono immediatamente, e non mai oltre ventiquattro ore, fare denunzia all'autorità giudiziaria. Se questa non lo convalida nelle ventiquattro ore successive, il sequestro s'intende revocato e privo d'ogni effetto.
La legge può stabilire, con norme di carattere generale, che siano resi noti i mezzi di finanziamento della stampa periodica.
Sono vietate le pubblicazioni a stampa, gli spettacoli e tutte le altre manifestazioni contrarie al buon costume. La legge stabilisce provvedimenti adeguati a prevenire e a reprimere le violazioni”.
Proprio l’art. 21 Cost. sancisce il diritto di manifestare il proprio pensiero nonché il diritto di cronaca che può sfociare, in determinati casi, nella diffamazione.
Ai sensi dell’art. 595 c.p., la diffamazione consiste negli atti con cui l'agente comunichi, ad almeno due persone, l'offesa alla reputazione di un terzo.
Tale comportamento può essere realizzato con qualsiasi mezzo e in qualunque modo, purché risulti idoneo a comunicare l'offesa alla reputazione altrui.
Al riguardo, molteplici sono le controversie portate nelle aule giudiziarie, in particolare, per quanto concerne la manifestazione del proprio pensiero ad una platea indeterminata consistente nei social network.
La Suprema Corte di Cassazione, di recente, è tornata sul relativo tema cassando la decisione di merito che, per escludere la lesività del comportamento consistente nella pubblicazione su Facebook di due "post" contenenti espressioni offensive della dignità delle persone appartenenti all'etnia rom, aveva valorizzato la circostanza che gli stessi erano destinati al gruppo privato degli "amici" che l'autrice vantava sul predetto "social network".
La S.C. con la Ordinanza n. 14836 del 26/05/2023, pertanto, ha così enunciato il seguente principio di diritto: “In tema di discriminazione, la manifestazione del proprio pensiero sui "social network", anche se inizialmente indirizzata ad una cerchia limitata di persone, deve avvenire comunque nel rispetto del criterio formale della continenza e, ove sia accertato che abbia contenuti lesivi dell'altrui dignità, può integrare gli estremi della molestia discriminatoria se rivolta verso un determinato gruppo etnico, in quanto potenzialmente capace di raggiungere un numero indeterminato (o comunque quantitativamente apprezzabile) di persone”.
Alla luce di tale pronunzia emerge, ergo, che la manifestazione del proprio pensiero sui "social network", anche se inizialmente indirizzata ad una cerchia limitata di persone, deve avvenire comunque nel rispetto del criterio formale della continenza e, ove sia accertato che abbia contenuti lesivi dell'altrui dignità, può integrare gli estremi della molestia discriminatoria se rivolta verso un determinato gruppo etnico, in quanto potenzialmente capace di raggiungere un numero indeterminato (o comunque quantitativamente apprezzabile) di persone.
Avv. Giulio Costanzo