In particolare, l’art. 2901 c.c. dispone quanto segue:
“Il creditore, anche se il credito è soggetto a condizione o a termine, può domandare che siano dichiarati inefficaci nei suoi confronti gli atti di disposizione del patrimonio con i quali il debitore rechi pregiudizio alle sue ragioni, quando concorrono le seguenti condizioni:
1) che il debitore conoscesse il pregiudizio che l’atto arrecava alle ragioni del creditore o, trattandosi di atto anteriore al sorgere del credito, l’atto fosse dolosamente preordinato al fine di pregiudicarne il soddisfacimento; 2) che, inoltre, trattandosi di atto a titolo oneroso, il terzo fosse consapevole del pregiudizio e, nel caso di atto anteriore al sorgere del credito, fosse partecipe della dolosa preordinazione.
Agli effetti della presente norma, le prestazioni di garanzia, anche per debiti altrui, sono considerate atti a titolo oneroso, quando sono contestuali al credito garantito.
Non è soggetto a revoca l’adempimento di un debito scaduto. L’inefficacia dell’atto non pregiudica i diritti acquistati a titolo oneroso dai terzi di buona fede, salvi gli effetti della trascrizione della domanda di revocazione”.
Tale forma di azione, quindi, ha uno scopo essenzialmente conservativo e cautelare, tanto che la sentenza di accoglimento della domanda revocatoria ha come conseguenza quella di consentire al creditore di espropriare i beni alienati a terzi dal suo debitore, pur rimanendo questi nella disponibilità dei terzi medesimi.
I presupposti di tale azione si possono sostanzialmente riassumersi nel seguente modo: 1. Esistenza di un diritto di credito verso il debitore; 2. Esistenza di un atto dispositivo del debitore; 3. La sussistenza di un pregiudizio arrecato dall’atto alle ragioni del creditore (c.d. eventus damni); 4. La conoscenza, da parte del debitore, che il proprio atto avrebbe arrecato danno al creditore (c.d. consilium fraudis); 5. La consapevolezza del pregiudizio o partecipazione alla dolosa preordinazione da parte del terzo acquirente nel caso di atti a titolo oneroso (c.d. scientia damni o scientia fraudis).
Ciò posto, va rilevato che la Corte di Cassazione si è più volte pronunciata in merito alla ripartizione dell’onere probatorio in azioni di tal genere.
Ordinanza n. 23907/2019 del 25 settembre 2019
Da ultimo, gli Ermellini, con la recente ordinanza n. 23907/2019 del 25 settembre 2019, hanno essenzialmente confermato la natura di strumento di conservazione della garanzia patrimoniale dell’azione revocatoria ordinaria, il cui scopo è proprio quello di far dichiarare l’inefficacia degli atti di disposizione patrimoniale con cui il debitore ha arrecato pregiudizio alle ragioni del suo creditore, ribadendo, altresì, i suoi elementi qualificanti, ovvero l’eventus damni ed il consilium fraudis.
Riguardo poi, alla ripartizione dell’onere probatorio tra creditore e debitore, la Suprema Corte ha richiamato l'orientamento ormai consolidato della giurisprudenza di legittimità, secondo il quale è onere del debitore dimostrare non solo di essere titolare di altri immobili, ma anche che il suo patrimonio residuo sia di entità tale da risultare sufficiente a garantire i creditori.
Difatti, in tema di revocatoria ordinaria, non essendo richiesta, a fondamento dell'azione, la totale compromissione della consistenza del patrimonio del debitore, ma soltanto il compimento di un atto che renda più incerta o difficile la soddisfazione del credito, l'onere di provare l'insussistenza di tale rischio, in ragione di ampie residualità patrimoniali, incombe sul convenuto che eccepisca, per questo motivo, la mancanza dell’eventus damni (Cass. 03/02/2015, n. 1902; Cass. 29/03/2007, n. 7767).
In definitiva, il principio enunciato dalla Cassazione è quello secondo cui, nelle azioni di revocatoria ordinaria, l’onere di dimostrare le modificazioni della garanzia patrimoniale grava sul creditore, mentre il debitore è tenuto a provare che il suo patrimonio residuo è in grado di soddisfare le ragioni del creditore.